L'Onagro Maestro
Webfestschrift Scarcia 2004
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::TRANSOXIANA::

Ezio ALBRILE

Il Demone e la Luna
Uno studio sul sincretismo gnostico


…bisogna ritenere che i demoni abbiano un corpo fluttuante,
d’una sostanza trasparente, tuttavia immortale…

V. Brjusov, L’Angelo di Fuoco

Il contributo che qui presentiamo è un modesto omaggio al prof. Gianroberto Scarcia, figura unica di studioso al crocevia di iranistica, storia delle religioni e letteratura. Le sue geniali intuizioni, vere e proprie "scintille noetiche", sparse in articoli e libri si dissolvono di fronte ad un'opera orientata ben oltre i limiti angusti della storia e della filologia. Una "vita come arte" la cui quintessenza è in parte distillata nelle innumerevoli pubblicazioni. Un eclettismo "gnostico" rintracciabile sin dal sidereum signum iniziale, quella Costellazione dei Pesci traslabile nel medio-persiano māhīg e stranamente assonante con la Luna, māh.

* * *

I. Mondi lunari

Tra le paludi dell'Iraq e dell'Iran, a sud di Bagdad, alle foci del fiume formato dalla confluenza del Tigri con l'Eufrate, lo Satt al-!Arab, e nel Kuzistan, sulle rive del fiume Karun, vivono ancora ai giorni nostri i discendenti di un'antica religione gnostica. Il loro nome, Mandei1, è la traduzione aramaico-orientale del greco Gnōstikoi: essi sarebbero cioè gli "Gnostici" per eccellenza. Sotto l'aspetto dottrinale le linee narrative del mito mandaico conservano le identiche strutture riscontrabili in testi quali l'Apokryphon Johannis o l'Hypostasis Archonton, tipiche espressioni di una gnosi giudeo-iranica2 reinterpretata in parvenze cristiane. Il dato centrale, comune in tale affabulazione mitologica, emerge chiaramente dalla distinzione tra un Dio supremo, ineffabile e trascendente, designato con i termini di "Prima Vita" (Hiia Qadmaiia), "Grande Vita" (Hiia Rbia) o "Signore della Grandezza" (Mara d-Rabuta), ed un creatore inferiore, un demiurgo maldestro che ha le sembianze di Ptahil3, nome esoterico sotto cui spesso si cela l'Angelo Gabriele, Gabr!il sliha4. Altro tratto comune è la demonizzazione dello spazio astrale e planetario: in sintonia con la gnosi antica i "sette ed i dodici", suba sibiahia u trisar mastusia, cioè i Pianeti e le Costellazioni Zodiacali, sono rappresentati quali entità demoniache5 che agiscono sul divenire condizionandolo in modo negativo. Tra questi, un posto di rilievo è tenuto da Sin, la Luna6, il pianeta della notte immaginato quale soglia demoniaca che introduce nel regno delle forme cangianti, nella instabilità dello spazio cosmico. Essa è

baba d-qra agz!il d-sin qarilh kulhun almia sin kulhun almia qarilh amintul d-saina dmth bkul atar

...la porta che Agz!il ha evocato, che tutti i mondi chiamano Sin; Sin è chiamata da tutti i mondi, poiché la sua immagine è disprezzata ovunque7.

In questa sequenza del Ginza, un importante testo mandaico, Sin viene chiamato all'essere da un demone, Agz!il, il quale custodisce l'accesso alla sfera lunare, secondo un modello magico-teurgico tipico dello Gnosticismo che ritroviamo in testi quali i Libri di Jeu, la Pistis Sophia, o nelle invocazioni ofitiche agli Arconti planetari del Contra Celsum di Origene8. Questo demone linguisticamente richiama l'iranica ag-dēn, locuzione utilizzata per designare i seguaci della religiosità ahrimanica9, tenebrale. Il termine è composto infatti dal medio-persiano ak-, "malvagio, maligno"10, e dalla dēn (< daēnā), la religione intesa quale unità psichica sia individuale che collettiva11. Significativamente il medio-persiano ak- rimanda all'avestico aka-, il principio negativo che nelle vesti di Aka Manah, il "Pensiero Malvagio", si contrappone a Vohu Manah, il "Buon Pensiero"12, e che nei testi pahlavi13 appare nelle sembianze di Akōman, il demone primigenio legato all'enunciazione della parola malefica, akōmand14, funesto proselita della dottrina ahrimanica. Agz!il potrebbe quindi essere l'esito mandaico (con l'aggiunta del teonimo 'el) del medio-persiano ag-zay, dove il secondo termine, zay (< zaya-)15, "strumento, arma"16, qualificherebbe l'astro lunare come strumento ahrimanico e veicolo del male nel cosmo; il che è in perfetta sintonia con quanto affermato nel passo del Ginza. Di passaggio noteremo che la presenza di prestiti iranici nella demonologia mandaica non è un fatto isolato17: in un'altra sequenza del Ginza18 troviamo una demonessa, anch'essa egemone delle forze lunari e fluidiche, il cui nome Zahr!il rinvia al medio-persiano zahr, "veleno", dall'avestico *jara "strumento per uccidere"19. Zahr!il sarebbe perciò la "dea velenosa", etimologia che ne confermerebbe la natura demonica e lunare di veicolo del male e custode dei "misteri della tenebra", razia d-hsuka20.

L'idea espressa nel mito mandaico è che tutta la meccanicità del cosmo dipenda dalla Luna: essa è una sorta di strumento per cogliere e trasmettere le influenze astrali e planetarie, in quanto serve come veicolo di comunicazione tra la terra ed i pianeti. Tale comunicazione può avvenire con la morte, poiché tutto ciò che muore nutre la Luna21. È il mito di Selēnē ed Endimione22reinterpretato da una setta gnostico-sethiana, i Naasseni23:

 <> 

La grotta, teatro del desiderio di Selēnē è platonicamente immagine del cosmo, luogo in cui Endimione giace addormentato in un sonno privo di sogni, nell'attesa che la creazione degli esseri superiori infonda in lui l'anima. Il sonno, l'oblìo dell'Anima divina, della scintilla di  intrappolata nella , è tema costante nello Gnosticismo: così nel sistema di Simon Mago i fonemi primigeni, "la Voce e il Nome, sono il Sole e la Luna", espressioni della , "la grande potenza, l'infinita", che è , colui che permane immutabile24. L'idea qui enunciata è quella della sostanza luminosa che dimora potenzialmente nel cosmo secondo uno schema settenario. Al culmine dell'ebdomade c'è lo , il fonema lunare che manifesta l'infinità della , l'apice della crisi erotica simoniana che probabilmente coincide con il plenilunio.

Anche nella gnosi manichea la scansione divina, ritmata nelle fasi di novilunio e plenilunio, è stigma della morte e della rinascita del Redentore celeste, il Gesù cosmico. Così nel Pur karām, un inno manicheo sogdiano con paralleli in partico25, la "grande Luna lucente" (RBw rwsny m')26, il casmān abarēn, l'"occhio supremo", la "pupilla luminosa" (rwsny csmy)27, è il Gesù cosmico che appare "al declinare vespertino, al sorgere della Luna" (rty pnt y'r'k c'nkw ZY ZK 'ysw stty)28. Un altro inno partico parla del Redentore cosmico in questi termini:

wxasnām yso' az bagān afradom nōgmāh tō bag *ay

O Gesù veritiero, primizia degli dèi! Tu sei il novilunio!29

Nei testi manichei copti la Luna è il "vascello luminoso" (pgai nouaine), il vascello notturno (pgai nte tousē) che solca le "acque viventi" (pgai nmmouieue etanh) recando l'Uomo primigenio (pgai mpsarp nrōme)30. Gesù cosmico e Uomo primordiale sono quindi strettamente coniugati31: Gesù è il novilunio32, poiché con la sua morte si compie la ricorrrenza animica, il ciclo metempsichico in cui la fine e l'inizio (cioè le fasi di Luna nuova e Luna piena) si ricongiungono. Ciò spiega anche il termine medio-persiano (e partico) zād-murd, "nascita-morte", utilizzato33 dai manichei per definire lo stato lapsario in cui dimorano i molti, i non-eletti vincolati al susseguirsi infinito delle nascite e delle morti. Si tratta dell'evento che le fonti manichee in siriaco designano come taspīkā, "rifusione" dell'anima, equivalente del , la trasfusione animica dei testi manichei greci, la revolutio di sant'Agostino34. Nascita e morte coincidono dunque nel loro divenire ciclico. Non è un caso che ancora nel X secolo d.C. gli abitanti di Harran, la città degli adoratori della Luna (e dell'omicidio di Caracalla)35, celebrassero in onore di Ta'uz (= Tammuz), il dio ciclico che al pari di Gesù muore e risorge36, una festa in cui le donne si sarebbero astenute dal mangiare "qualunque cosa macinata" in segno di lutto per il loro dio Ta' uz, crudelmente fatto macinare37.

II. La Luna e la trasmutazione

Nel cosmo tutto è collegato e le cose non esistono separatamente. Ciò spiega l'identificazione di Gesù con il "dio della Luna" in quanto strumento attraverso il quale le potenze astrali e planetarie governano il divenire ciclico, e quindi tramite di realizzazione dei fenomeni trasmutativi. Caratteristica comune ad esempio a Baba-jaga, la "strega lunare" del folklore slavo che può trasformarsi in un serpente o in un drago38 e che nella sua tipologia demonico-polimorfa rinvia a Mar Gōcihr, il serpente-drago lunare dell'escatologia iranico-mazdea. L'archetipo è avestico: gaocira- è infatti l'epiteto della Luna in alcuni Yast e nel Vidēvdād39. Nella mitologia pahlavi Gōcihr è il drago ahrimanico che perirà nel metallo fuso: siffatta identità "liquida", stigma del ritorno nell'elemento caotico ed indeterminato, è sicuramente da correlare all'elemento fluido per eccellenza, l'acqua, poiché le acque sono il ricettacolo di tutti i germi e come tali divengono la sostanza magica, taumaturgica e trasmutativa più peculiare40. Le acque sono il principio della pre-formalità, della virtualità, della materia che contiene i semi di tutte le cose, e come tali posseggono una evidente struttura "lunare"41, quindi oscura. Ora, esiste una diretta corrispondenza tra il simbolismo delle tenebre e quello delle acque, che si ritrova – come ha magistralmente mostrato Gherardo Gnoli – nella religione mazdeo-zoroastriana, dove il dualismo Luce-Tenebre corrisponde perfettamente a quello fuoco-acqua42, ed ancora nella gnosi sethiana, in cui la Tenebra è esplicitamente identificata con l'"acqua inferiore, oscura e terribile"43 ().

Sovrapposizione che troviamo in altri contesti arcaici. Nel "Libro dei Sogni" di Artemidoro si dice che la dea Artemide è – fra l'altro – propizia ai pescatori a causa del suo epiteto di , "Lacustre"44. È noto dalla mitologia antica che Artemide equivale alla Luna45. Sempre Artemidoro fa un'altra importante osservazione quando asserisce che la Luna provoca la morte di ammalati e naviganti, "i primi per idropisia, poiché la Luna è umida per natura, gli altri perché faranno naufragio"46. È probabile che il tutto si riallacci ad antiche dottrine, diffuse specialmente dallo Stoicismo, secondo cui la Luna sarebbe in stretto rapporto con le acque terrestri. Secondo Posidonio d'Apamea, citato da Diogene Laerzio (VII, 145), la Luna attingerebbe il suo nutrimento dalle "acque potabili" () della terra. Sempre a questa dottrina stoica accenna Plutarco nel De Iside et Osiride, dove sostiene che le acque di fonti e di paludi colmano la Luna di "dolci e leggeri effluvi"47 (). Anche Filone Alessandrino accenna, tra i tanti benefici dispensati dalla Luna, ai suoi legami con i corsi d'acqua48. Probabilmente in virtù di ciò si ritiene che la Luna conferisca una forza speciale alle invocazioni magiche e agli incantesimi49. Tali effetti benefici sono sicuramente da collegare, come si legge in Apuleio in riferimento ad Iside quale regina coeli, al fatto che essa provocherebbe il formarsi della rugiada notturna: u(n)dis ignibus nutriens laeta seminae50.

Dalla Cena Trimalchionis di Petronio sappiamo che la metamorfosi da uomo in lupo avviene durante le notti di Luna piena: luna lucebat tamquam meridie51. In riferimento a ciò si deve sottolineare che, stando ad altre tradizioni, l'uomo si trasmuta in lupo entrando in uno spazio limitato52 e dopo aver attraversato a nuoto un certo stagno. Così Plinio, citando il greco Evante53, racconta che un membro della famiglia di un certo Anto, estratto a sorte, viene condotto presso una palude dell'Arcadia. Lì, appesi gli abiti ad una quercia54, attraversa a nuoto uno specchio d'acqua e si trasforma in lupo. Il licantropo potrà riacquistare le sembianze umane solo dopo un periodo di nove anni – quo in tempore si homine se abstinuerit – se ritornerà nello stesso stagno e di nuovo lo attraverserà nella direzione opposta55. Un'altra enigmatica trasmutazione è quella evocata da Properzio sullo sfondo di un incantesimo erotico, dove una misteriosa maga audax cantatae leges imponere lunae/ et sua nocturno fallere terga lupo/ posset et intentos astu caecare maritos56.

Tornando a Petronio, si deve notare che il miles, il soldato protagonista della trasmutazione in lupo mannaro, viene ferito al collo durante una razzia di pecore57. È significativo che Nicerote, il narratore della Cena Trimalchionis, nel raccontare la metamorfosi di ritorno, ovvero la ritrasformazione del lupo in uomo, ritrovi il miles in uniforme disteso sul letto tamquam bovis58. In questa similitudine c'è infatti da considerare l'identificazione del soggetto con il suo termine di paragone59: il bue (oppure toro, a seconda di come si vuole intendere il lat. bovis) è un animale sacro, legato alle Tenebre ed alla Luna60, nel quale per di più può trasformarsi un essere umano, come avviene al re Nabucodonosor per sette anni, secondo il racconto biblico del Libro di Daniele, svolto come interpretazione di un sogno61.

Secondo la versione dei LXX Nabucodonosor, estromesso dalla comunità degli uomini, inizia a nutrirsi di erba come un bue (), ed il suo corpo viene bagnato dalla rugiada celeste ()62. Che si tratti di una metamorfosi simile a quella del licantropo63 è confermato da Eusebio di Cesarea nella Praeparatio evangelica, dove si legge che Nabucodonosor – come il lupo mannaro di Plinio64 – attraversa il deserto prima di trasformarsi in lupo65. Il greco  traduce l'aramaico taurā, il bovino (toro o bue)66 nel quale si trasforma il potente re assiro-babilonese. Il testo masoretico ha però un significativo particolare andato perduto nella traduzione greca:

u-mi-ttāl scmāyya gismēh yistābba!

…e la rugiada celeste intrise il suo corpo67.

Il corpo di Nabucodonosor trasmutato in bovino è quindi immerso nel fluido lunare per eccellenza, la rugiada cosmica.

Ora, non è un caso che l'aramaico taurā sia anche il logogramma (TWRA) del medio-persiano (pahlavi) gāw, "bovino"68. Ciò implica una breve digressione su una suggestiva ipotesi riproposta anni orsono da Antonino Pagliaro. Le linee generali dei primi sviluppi della scrittura iranica esigono infatti, come suo precedente, l'uso dell'aramaico, che non fu solo lingua di comunicazione, ma anche e soprattutto lingua scritta per ogni manifestazione culturale. Poiché i logogrammi, conservati in pahlavi in così grande numero, insieme con i settori della vita pratica toccano anche quello religioso, c'è da chiedersi se non ci siano state traduzioni aramaiche di testi avestici69. Una notizia di Plinio70 attesta che Ermippo, filosofo ed erudito discepolo di Callimaco, aveva interpretato due milioni di versi lasciati da Zarathustra e aveva redatto gli indici delle materie. Palesemente si tratta degli scritti in aramaico e in tardo-babilonese che nella biblioteca di Alessandria erano riuniti sotto il nome di Zarathustra71: non è da escludere che tra tali scritti vi fossero versioni aramaiche di testi mazdeo-zoroastriani.

Se l'ipotesi di una vulgata aramaica dei testi avestici72 fosse plausibile, ciò spiegherebbe in modo più agevole la cospicua presenza di materiali e mitologhemi iranici sia nel testo biblico, che negli scritti giudaici intertestamentari e apocrifi73, di cui questa sequenza del Libro di Daniele è una chiara testimonianza. Nel bovino si riconosce difatti la creatura centrale del culto mazdeo-zoroastriano74, rinvenibile nella forma di gcus urvan-, l'"Anima del Bue"75 che in Gāthā Yasna 29 eleva un lamento ad Ahura Mazdā perché oppressa dalla furia e dalla violenza mondane76 e, nei testi pahlavi, sotto le sembianze di gōs-urvan, l'anima del bovino77, protettrice delle greggi e del bestiame, che dal mondo eidetico, mēnōg, prega di non essere scagliata nell'oblìo del gētīg, il mondo corporeo, esposta all'aggressione delle creature demoniache, preda del "miscuglio" ahrimanico tra Luce e Tenebre78. Tauromorfismi che a loro volta si sovrappongono al gāw ī ēwdād, il Toro o Bovino Unicreato79 ucciso da Ahriman e dai suoi demoni; dal suo corpo nascono le piante e dallo sperma numerose specie animali.

Il passo del Libro di Daniele richiama il gāw iranico principalmente nei rapporti con l'haoma, la "rugiada celeste", il fluido lunare più caratteristico80. Nell'escatologia iranica al tempo finale, nel frasgird (< frasō.kcrcti), il Saosyant-, il Salvatore futuro81, compirà il sacrificio ultimo: con il grasso del bovino e l'hōm i spēd, l'haoma bianco, preparerà l'ambrosia (anōs), la libagione miracolosa che risusciterà i morti e renderà immortali i viventi82. Lo stesso sacrificio saoshyantico è compiuto nei Misteri di Mithra83, dove l'anima del Toro, cioè il suo sperma, viene portato dal cane84, fedele aiutante del dio, sulla Luna. L'archetipo è sicuramente gnostico-iranico. Ecco cosa si legge infatti nel Wizīdagīha i Zādspram, una antologia pahlavi85 che raccoglie tradizioni molto antiche, sicuramente avestiche:

u-s pas pad ham rōsnih i andar zōr az tōhm ī gāw abar grift u-s ō māh burd rōsnih ī andar gāw bud be ō māh yazd abespārd pad gāh pad-is ānōh ān tōhm pad rōsnīh ī māh be pālud u-s pad was cihragīhā be wīrāst u-s gyānōmand be kard az ānōh frāz ō ērānwēz brēhēnīd

E poi [Ohrmazd] trae dallo sperma del bovino la Luce in cui è celata la forza e la porta sulla Luna. E reca a Māh yazd86 la Luce che era nel bovino. Per questo motivo in quel luogo [Ohrmazd] purificherà lo sperma tramite la Luce della Luna, lo ripartirà secondo la specie. Donerà ad esso l'anima vitale e di lì la creerà trasferendola nell'ērānwēz87.

III. Il bovino saoshyantico

Lo splendore racchiuso nel fluido lunare è celebrato nel Mah Nyayisn, la liturgia mazdea della Luna88, quale sacrificio officiato al pianeta che custodisce il gōspand tōhmag, il seme del bovino89, l'essenza macroantropica rilucente e colma di xwarrah, la forza luminosa90 da cui procedono la vita e la prosperità91. Questo xwarrah, che nella litania zoroastriana è reso con il logogramma GDE92, è racchiuso nelle acque del mitico lago o fiume onirico Dāityā93, sul quale regna il sovrano immortale che porta il nome di Gōpatsāh94. Come ha convincentemente mostrato Gherardo Gnoli, l'etimologia più verosimile di Gōpatsāh sembra quella ovvia di gō-/gāv-, "bue, toro, vacca", da cui gōpat < gāv-pati, cioè "padrone del bue"95, che pad bār i āb i dāityā, "sulla riva dell'acqua Dāityā"96, custodisce il gāw i Hatāyōs, il bovino che fornirà la materia per il sacrificio del Salvatore futuro.

Vittima del fratello Frāsyāp97, la figura di Gōpatsāh, probabile replica del personaggio avestico antropomorfo Araēraa, "ucciso violentemente, assassinato" (zurō.jata-)98, del Gos Yast99, è inserita in un contesto rituale ben preciso: essa è un'entità mitica che svolge una funzione di tutela, di custodia dell'oggetto del sacrificio rinnovatore, ed è certo per questo che porta il nome di "Signore del bue" e che viene ucciso dal fratello "turanico" Frāsyāp. Gōpatsāh è inoltre un frasgird kardār, un aiutante nella grande opera di rinnovamento e di trasfigurazione del cosmo100, la frasō.kcrcti, quando l'ultimo Saosyant preparerà l'ambrosia (anōs), la libagione d'immortalità per i viventi, con il grasso del bue Hatāyōs misto ad hōm bianco. Egli è ad un tempo il guardiano e il purificatore: purifica infatti, secondo il Dādastān i mēnōg i xrad, l'acqua del mare onirico Varkas (< Vouru.kasa), sulla cui riva egli siede eternamente, versandovi in continuazione acqua santa, al fine di distruggere gli animali ahrimanici che la infestano101; ed è nel Vouru.kasa che cresce il Gaokcrcna (> Gōkarn), il mitico Albero della Vita sul quale germoglia l'haoma102. Non v'è quindi ombra di dubbio che in questo complesso motivo mitologico si ritrovino elementi strutturali importanti per comprendere i legami che uniscono il simbolismo lunare all'idea della morte, vista quale palingenesi dell'essere.

In questo virus lunare103 si nasconde l'idea di un'essenza fluidica che sta al bivio tra la morte e la vita, dove i valori semantici paiono scambiati: la vera morte è infatti quella del carcere cosmico, oblìo della scintilla divina, mentre la vera vita è la morte, intesa come fuga dal mondo corporeo. Parallelamente a questo motivo dualistico troviamo l'idea tipicamente indo-iranico-gnostica dello spazio macroantropico, immaginato nelle sembianze del bovino primigenio e del suo seme, che è il ricettacolo della sostanza luminosa.

Troviamo un linguaggio simbolico affine in una ramificazione della gnosi ofitico-sethiana, i Perati. Ippolito di Roma, probabilmente travisando e capendo poco o nulla delle dottrine gnostiche dei Perati, nella sua Refutatio cita un lungo estratto104, espressione di una gnosi ai limiti dell'affabulazione onirica, di uno dei libri "tenuti in grande considerazione tra di loro" e intitolato , "Gli abitanti della periferia sino all'etere". Tale libro, come rivela il contenuto dell'opuscolo, si riferisce agli dèi e ai demoni preposti ad ogni sfera planetaria che in qualche modo costituisce la "periferia" () del luogo eterico dove risiede il principio originario. Ogni divinità è presentata con nomi diversi, paredri, funzioni, segni e cifre magiche. L'esordio dello scritto introduce in un mondo irreale, al confine tra immaginazione astrale ed estasi visionaria:

Io sono la Voce del risveglio nell'eone della notte (). Ora inizierò a descrivere la potenza che sorge dal Chaos; la potenza delle tenebre abissali (), che sorge dal fango dell'eterno vuoto acquatico ()…105.

Questa potenza acquatica, venuta dal Chaos e dal limo dell'abisso, procreatrice di Titani, è sempre in movimento, in preda agli spasmi caotici della materia in continua trasmutazione; i Perati la descrivono come "la fedele tesoriera106 dell'impronta fluidica" () che deliba ciò che scaturisce dai , dai "dodici occhi" della Legge107. La frase, apparentemente incomprensibile, si spiega con il gioco di parole tra , "occhi", e , "sorgenti"108, implicito nel significato dell'ebraico ed aramaico !ayn, "occhio" e "sorgente". Lo scambio di contenuto semantico si comprende alla luce di un enigmatico passo di Esodo 15, 25-27, in cui Mosè, dopo aver dato al suo popolo una serie di norme legislative e di prescrizioni rituali, giunge in un luogo chiamato Elim, dove si trovano dodici sorgenti d'acqua e settanta palme109. L'affabulazione gnostica, perennemente indirizzata ad elaborare ermeneutiche esoteriche del testo biblico, ha sicuramente sviluppato l'ambiguità della pericope di Esodo in una prospettiva totalmente nuova. Il riferimento ai "dodici occhi della Legge" quali espressioni di una potenza caotica in sempiterno movimento non è portato a caso: in esso infatti troviamo una chiara allusione ad uno sviluppo embrionale del cosmo110, peraltro già presente in modo esplicito nelle dottrine di Simon Mago111.

Nel quadro di una ermeneutica gnostica che si modula su forme espressive di tipo cosmogonico e, di riflesso, antropogonico, si deve rilevare come l'esistenza fisica e creativa dell'uomo – come peculiarmente rilevato dal prof. Gianroberto Scarcia – si serva della percezione cinetica prima che di quella visiva. L'embrione umano si trova immerso in un mondo di movimenti molto prima del formarsi dell'occhio come organo di percezione: la vista è quindi condizionata dalla percezione del movimento; in altre parole essa rappresenta una diversa possibilità di costruire il mondo, senza tuttavia annullare il precedente mondo di ciò che è mosso, ma trasformandolo grazie alla percezione visiva del movimento stesso.

IV. Gnostici, Astrali e Teurghi

Con ciò la dottrina degli gnostici Perati sembra adombrare la possibilità che il mondo umano, cosmicamente arcontico, si costruisca in un primo tempo, in balìa delle tenebre abissali, con la percezione del movimento e dell'instabilità, mentre la vista sopraggiungerebbe solo in un momento successivo. Da questo si può dedurre che esiste un modo di vedere senza occhi112: il processo visivo dipende infatti dal movimento oculare, se si fissa non si vede niente.

Importante sembra infine il legame simbolico tra l'occhio e la Luna113, già presente nel Gesù manicheo che è l'"occhio supremo" del cielo114. La Luna, come ricordato, è l'elemento di trasmissione delle forze astrali e planetarie e, come tale, diventa l'"occhio" tramite cui le potenze arcontiche governano il ritmarsi del divenire: la liberazione gnostica potrà compiersi solamente quando il fluire della heimarménē si arresterà coagulandosi in se stesso. Tornando ai Perati, dal loro misterioso libro sembra di capire che ciò sarà possibile all'adepto, allo gnōstikos in possesso del "sigillo" () della potenza che governa le acque che s'innalzano invisibili dal Chaos primigenio. Esse corrispondono alla potenza del Mare, Thalassa, che i profani chiamano Kronos "in vincoli dopo aver chiuso con possenti catene il denso, nebuloso, oscuro e tenebroso Tartaro"115. Segue nel libro dei Perati una ulteriore spiegazione: , "la potenza che custodisce Thalassa è androgina"116, il suo nome è Chorzar, la "figlia tifonica", , fedele guardiana delle acque che ammansisce con dodici piccoli flauti, e che i profani chiamano Poseidone117. Poseidone/Chorzar è circondato dalla , la "piramide dai dodici angoli", cioè il dodecaedro zodiacale118, e con il suo movimento "oscura la soglia della piramide con diversi colori, compiendo il tempo notturno ()"119: sembra chiaro il riferimento alla ciclicità di Chorzar/Poseidone quale moto notturno della Luna. Congettura avvalorata dal seguito del libro, dove i Cureti sono associati al sorgere del Sole, mentre Ariel è il capo dei venti. Osiride ed Iside, identificata con la costellazione del cane120, cioè con , Sirio121, designano gli Arconti delle ore della notte e del giorno. Un'altra serie di divinità presiede ai frutti, agli alimenti ed al fuoco, e rappresenta il duplice movimento, ascendente e discendente, da destra a sinistra, dei segni dello Zodiaco sul piano dell'eclittica. Le potenze di sinistra, che hanno il dominio sulle stagioni, sono governate dal dio che i profani chiamano Luna (), nella cui immagine sono stati generati il "Grande Bue" ()122 ed una serie di personaggi profetici tratti da vari ambiti religiosi antichi, tra cui spiccano i nomi di Ostanes e Zoroastro123. Significativo sembra quindi l'inserimento del "Grande Bovino" lunare al vertice di una genealogia di importanti figure profetiche: a livello comparativo si può dire che esso incarni l'arcantropo iniziale, affine al gāw ī ēwdād iranico, il Bovino primigenio che è alle origini dell'umanità.

Tali valenze simboliche, al crocevia fra aspettative religiose, immaginazione astrale e affabulazione onirica, riaffiorano in un incantesimo bizantino descritto dal Delatte124:

125

Suggestiva in questo , la sovrapposizione tra le cifre magiche del signum Tauri e del caput Draconis, intese quali espressioni iconiche della potenza lunare.

Immagini di finitudine altresì evocate in un papiro magico, dove la menzione di un misterioso demone di nome / disvela – come tempo addietro ha mostrato il Dölger – un retaggio semitico: ha-lcbanāh è infatti la denominazione ebraica della Luna126 in alcuni luoghi dell'Antico Testamento127; il pianeta notturno che il Tetrabyblos di Claudio Tolomeo designa, nella congiunzione con i segni zodiacali della Bilancia, dell'Ariete e del Leone, come responsabile della nascita di ,  e 128. A simili manipolazioni magico-oniriche si deve ascrivere anche la menzione del rito lunare nel Philopseudes di Luciano. Lo scrittore di Samosata narra l'episodio di un certo Glaucia che, innamorato di una fanciulla di nome Criside, ricorre alle arti di un Mago Iperboreo () al fine di possederla. Il Mago, attesa la Luna piena129, scava una buca in terra ed a mezzanotte compie un singolare rito necromantico: prima evoca l'ombra cadaverica, , di Alessicle, padre di Glaucia morto da più di sette mesi, il quale, sebbene indignato per la passione lussuriosa del figlio, acconsente a che si prosegua la cerimonia. Indi il Mago evoca, traendola dagli abissi infernali, la sitibonda dea Hekatē, che sopraggiunge recando al guinzaglio Cerbero, il fedele custode della finitudine oltretombale, e



Tra le molte forme che assume la Luna agli occhi degli astanti, la prima è quella di una donna (); segue, non a caso, la metamorfosi in un bellissimo bue (), ed infine il pianeta della notte si trasforma in un piccolo cane (). Quindi il Mago prende della creta e con essa modella una figura magica, verosimilmente un piccolo Cupido ()130, per mezzo della quale attrae a sé l'immagine psichica, quindi "lunare", della fanciulla desiderata da Glaucia. In un probabile delirio onirico, lo stesso Glaucia si unisce ad essa in un impetuoso amplesso visionario che dura sino al canto del gallo, momento in cui l'incantesimo si dissolve nell'aria mattutina ().

Come si è già sottolineato, la Luna evocata dal Mago Iperboreo assume le sembianze di un prosperoso bovino; tutto il rito magico presuppone inoltre la mutevolezza e l'azione fluidica della Luna sul mondo del sogno; essa agisce come una sostanza inebriante sul desiderio erotico di Glaucia, suscitando in lui la materializzazione di conturbanti immagini psichiche. In termini magico-simbolici il pianeta della notte, mutevole e crepuscolare, diventa la dimora del mondo astrale del Mago Iperboreo, luogo indefinito dove le immagini si formano, si deformano, si trasmutano, irriconoscibili alla coscienza.

V. L'estasi lunare

Pulsione erotica ed instabilità lunare sono tratti salienti anche nelle dottrine della gnosi simoniana131. Nella letteratura pseudoclementina troviamo parecchio materiale interessante sulla biografia del "Padre di tutte le eresie". Gli esordi di Simon Mago sarebbero infatti, secondo le Recognitiones, da ricercare in seno alla setta di Dositeo, un discepolo di Giovanni Battista132. Motivazioni astrologico-esoteriche impongono che gli adepti siano in numero di trenta, più una muliere quae Luna vocitata est (con probabile allusione ai giorni del mese lunare)133. Ben presto, grazie ai portentosi e prodigiosi poteri teurgici, Simon Mago assume la guida della conventicola. A ciò segue – come da copione – l'innamoramento per la fanciulla di nome Luna. Nelle concezioni simoniane essa sarebbe "un essere disceso dai cieli superiori", de superioribus caelis deductam134, ovvero la Madre cosmica, la Sapienza primigenia "per cui greci e barbari hanno combattuto": l'allusione è al mito omerico di Helena135, qui sovrapposta a Luna/Selēnē per mezzo di una metafora dal sapore squisitamente pitagorico136.

Nel sistema di Simon Mago Helena, cioè Ennoia, il Pensiero sorgivo137, viene percepita dai greci e dai troiani quale  lunare, ovvero come immagine fluttuante nell'intermondo onirico138, invisibile ad occhi profani; essi infatti, come gli Arconti dei miti gnostici, intravedono di lei solo un'immagine139, un'"impronta" psichica, riflesso della prima e unica realtà divina, che in termini gnostici coincide con la stessa persona di Simon Mago140.

L'identità selenita ed esoterica dei settari gnostici la ritroviamo in una misteriosa fazione pauliciana141 dell'Oriente bizantino, gli Athinganoi142. Nella formula di abiura a loro consacrata si fa esplicita menzione di tre principali demoni lunari chiamati ,  e , utilizzati dagli Athinganoi a fini magici143. L'anatema difatti è rivolto a coloro che per mezzo delle potenze demoniche "attraggono a sé la Luna usandola a fini oracolari" ().

L'accesso al mondo onirico è proprio dell'instabilità lunare, della fluttuazione animica, simile alla inlocalitas neopitagorica144, espressione di un vincolo "astrale" che solo apparentemente è connesso agli "astri" quali coagulazioni di sostanza onirica; al contrario, etimologicamente esso rimanda al greco , con il significato di "senza sostegno", "privo di corpo", "vagante". Si può infine dire che questa metafora, poiché lunare ed angelologica, a suo modo sia "sabea"145 proprio perché in essa confluiscono due contenuti semantici legati al mondo degli astri e della mobilità animica. Curiosamente un testo esorcistico bizantino inneggia proprio ad una creatura angelica di nome  o , manifestazione di una forza "dracontica"146 che etimologicamente rinvia al copto sabe, "sapiente, saggio"147, termine che troviamo per esempio in un testo gnostico di Nag-Hammadi, il Testimonium Veritatis, ad indicare il serpente edenico148 come il più saggio tra gli animali paradisiaci, seduttore ed istruttore di Eva. Sabaēl/Sabē sarebbe quindi l'angelo della gnosi lunare, l'egregore della sapienza selenita che governa la forza dracontica celata nelle tenebre esteriori.

* * *

Dagli ambiti storico-religiosi sostanzialmente gnostico-sincretistici presi in considerazione si può osservare un duplice sviluppo, se vogliamo in senso diacronico e in senso sincronico, del simbolismo lunare. Umidità e morte, mutabilità e magia, sono specificità chiaramente "lunari": tramite esse la ciclicità selenita si dispiega in un avvicendarsi di morti e rinascite149. È un divenire legato alla ciclicità femminile150, limitato non solo alle lunazioni catameniali, ma che investe l'intero universo onirico, instabile e continuamente cangiante. Per tale motivo l'astro notturno nella sua triplice epifania151 è la dea che sovrintende alla nascita, all'iniziazione ed alla morte, in una mutazione circolare conchiusa in se stessa dove la nascita coincide con la morte; mitologicamente essa è personificata da Hekatē, la dea dell'iniziazione infera, e da Artemide, la cacciatrice divina i cui segugi sono gli astri. Un altro aspetto, come s'è visto, è quello sincronico, fenomenologicamente legato al cibo celeste ed allo spazio macroantropico, cioè al mitologhema del bovino cosmico. Un ultimo riferimento a questo riguardo sta in un oracolo onirico del Peloponneso dedicato ad Helios, il Sole, ed a Pasiphae, la Luna152, cioè , "splendente", che rimanda a , "splendente agli occhi di tutti"153. Ora, Pasiphae è anche il nome della regina di Creta, sposa di Minosse, invaghitasi di un aitante toro bianco154. È cosa risaputa che dal concubito della regina con il bovino nasce il Minotauro, un essere mezzo uomo e mezzo bue rinchiuso da Minosse, guarda caso, in un palazzo, il Labirinto, etimologicamente connesso con la , l'ascia rituale formata da due falci di luna unite per il dorso.

Alla luce di tutto ciò e con malcelata nostalgia, in ultimo non si può non ricordare che, pur trascorso quasi un secolo, le idee di un Bousset o di un Reitzenstein sull'ipotesi di una religiosità gnostico-iranica, forse eccessive, restano intrise di una geniale vitalità intuitiva, a scapito di tanta religionistica "di mestiere", che non ha saputo cogliere e continuare le intuizioni di una scuola come la cosiddetta religionsgeschichtliche Schule, le cui percezioni comparative rimangono a tutt'oggi insuperate.

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1 Vd. in generale E.S. Drower, The Mandaeans of Iraq and Iran. Their Cults, Customs, Magic, Legends, and Folklore, Oxford, 1937 (repr. Leiden, 1962).

2 Sulla gnosi "giudeo-iranica" si vd. in partic. i miei lavori "I Sethiani: una setta gnostica al crocevia tra Iran e Mesopotamia", in Laurentianum, 37 (1996), pp. 353-385; e "... In principiis lucem fuisse ac tenebras. Creazione, caduta e rigenerazione spirituale in alcuni testi gnostici", in Annali dell'Istituto Universitario Orientale di Napoli (A.I.O.N.), Dipartimento di Studi del Mondo Classico e del Mediterraneo Antico/ Sezione Filologico-Letteraria, 17 (1995), pp. 109 ss., ai quali rimando anche per la bibliografia, troppo estesa per essere qui richiamata.

3 Sulla figura di Ptahil nella gnosi mandea è utile il volumetto di M.V. Cerutti, Dualismo e Ambiguità. Creatori e creazione nella dottrina mandea sul cosmo (Nuovi Saggi N° 80), Roma, 1981, in partic. pp. 27 ss. e passim.

4 Cfr. Ginza Iamina III (Petermann 93, 21).

5 Su questa problematica rimane fondamentale Furlani, pp. 119 ss.; bisogna però rilevare che a volte Astri e Pianeti sono considerati positivamente (si vd. ad es. quanto detto ivi, p. 186).

6 Chiamata anche Sira, secondo l'uso linguistico aramaico; cfr. per l'analisi filologica Furlani p. 129.

7 Ginza Iamina III (Petermann 120, 23-121, 1; Lidzbarski 135, 27-30, che propone una versione un po' diversa).

8 Cfr. l'invocazione alla soglia di Ialdabaōth in Contra Celsum VI, 31, a cui seguono quelle a Iaō, Sabaōth, Astaphaios, Ailōaios e Horaios; qualcosa di affine alla tipologia lunare penso si possa trovare nell'invocazione ad Astaphaios "Arconte della terza porta" e "guardiano della prima sorgente d'acqua", colui che "contempla l'essenza del mondo" (); cfr. Contra Celsum VI, 31-36 (B. Witte, Das Ophiten-diagramm nach Origenes' Contra Celsum VI 22-38 [Arbeiten zum spätantiken und koptischen Ägypten 6], Oros Verlag: Altenberge, 1993, p. 66 e pp. 112 ss.); maggiori ragguagli su questa problematica si troveranno nel mio "Il firmamento magico e l'eresia del Serpente" (di prossima pubblicazione).

9 Cfr. Nyberg p. 13b; MacKenzie p. 6.

10 Cfr. MacKenzie p. 7.

11 Per gli approfondimenti bibliografici vd. il mio "Zurvān tra i Mandei? Un excursus sulle origini dello Gnosticismo", in Teresianum, 47 (1996), pp. 215 ss.; ed in partic. il recente studio di Gh. Gnoli, "Über die Daēnā: Haōxt nask 2, 7-9", in Ch. Elsas et alii (hrsg.), Tradition und Translation. Zum Problem der interkulturellen Übersetzbarkeit religiöser Phänomene, Festschrift für C. Colpe, Berlin-New York, 1994, pp. 292-298.

12 Cfr. AirWb col. 45; e vd. Yast 10, 132; MacKenzie p. 98.

13 Cfr. MacKenzie p. 7.

14 Cfr. Nyberg p. 13b.

15 Cfr. AirWb col. 1666.

16 Cfr. Vidēvdād 14, 8-10; Yast 10, 132; MacKenzie p. 98.

17 Per i prestiti partici e medio-persiani, cfr. G. Widengren, Iranisch-semitische Kulturbegegung in parthischer Zeit (Arbeitsgemeinschaft für Forschung des Landes Nordrhein-Westfalen, Geisteswissenschaften 70), Köln-Opladen, 1960, pp. 89 ss.; ed anche l'importante lavoro di Giuseppe Furlani, "I nomi delle classi dei dèmoni presso i Mandei", in Rendiconti dell'Accademia Nazionale dei Lincei, Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche, Ser. VIII, 9 (1954), pp. 389-435, che però prende unicamente in considerazione la classificazione generale dei demoni mandaici.

18 Cfr. Ginza Iamina V, 1 (Petermann 147, 19; 148, 17; 150, 1 e passim).

19 Cfr. Nyberg p. 228a; interessante il parallelo con l'ahrimanico Azi Visāpa, il "Drago velenoso" della mitologia avestica che troviamo in Armenia nelle fattezze del visap, una sorta di balena che vive sui monti; di questo ho trattato in maniera particolareggiata nel mio "Le Acque del Drago", in Studi sull'Oriente Cristiano, 3 (1999), pp. 28 ss.

20 Cfr. Ginza Iamina V, 1 (Petermann 148, 17-19; Lidzbarski 161, 11-13).

21 Sulla valenza funeraria della Luna si vd. quanto detto in Borghini, "Tradizioni" p. 102 e n. 4; è significativonotare come nel Cristianesimo primitivo la data del decesso veniva calcolata e trascritta in base al calendario lunare; parecchio materiale epigrafico a riguardo è raccolto nell'articolo di H. Leclercq, "Lune", in F. Cabrol-H. Leclercq (eds.), Dictionnaire d'Archéologie Chrétienne et de Liturgie, IX/2, Paris, 1930, coll. 2710 ss.

22 Cfr. Ps. Apollodoro I, 7, 5-6.

23 Hipp. Ref. V, 7, 12 (Wendland II, p. 81, 19-21).

24 Ibid. VI, 13 (Wendland, p. 139, 8-11).

25 Cfr. Morano pp. 35 ss.

26 Ibid. pp. 36-37 linea 1.

27 Ibid. linea 10; forse a questo simbolismo astrale di Gesù come "occhio del cielo" si devono ascrivere le steli catare recanti una croce circondata da dodici perle; per questo cfr. G. Wild, Bogumilen und Katharer in ihrer Symbolik, Teil I, Franz Steiner Verlag: Wiesbaden, 1970, pp. 151 ss.

28 Frammento TM 389a R 25, in Morano p. 37 n. 1.

29 M 176 in Boyce p. 193, testo dv, 2 = Morano p. 37 n. 1.

30 Cfr. gli indici di I. Gardner, The Kephalaia of the Teacher. The Edited Coptic Manichaean Texts in Translation with Commentary (Nag Hammadi and Manichaean Studies XXXVII), Leiden-Köln, 1995, p. 301 sv. moon (pooh).

31 Si vd. ad es. quanto detto nel passo di Acta Archelai X, 8-14 (PG 10, 1445) da me analizzato in "Il "Bianco Monte" dei Magi. La montagna paradisiaca nel sincretismo iranico-mesopotamico", in Annali dell'Istituto Orientale di Napoli, 57 (1997), pp. 145-161.

32 Il novilunio, salutato come il momento in cui ricominciano gli effetti benefici dell'astro, è festeggiato già in Omero (cfr. Od. 20, 156. 276-278) e più tardi, con sacrifici e banchetti (cfr. Porphyr. De abst. 2, 16); vd. in partic. gli articoli di G. Delling, /", in GLNT VII, coll. 200-203; e W. Gundel, "Mond", in Pauly-Wissowa-Kroll, Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, XVI/1, Stuttgart, 1933, coll.103 ss.

33 Cfr. anche Nyberg p. 230a e p. 134a; per questo vd. anche il mio "Zurwān sulla Luna. Aspetti della gnosi aramaico-iranica", di imminente pubblicazione nella Rivista degli Studi Orientali.

34 Cfr. in partic. quanto dice G. Casadio, "The Manichaean Metempsycosis: Typology and Historical Roots", in G. Wiessner-H-J. Klimkeit (hrsg.), Studia Manichaica, II. Int. Kongr. zum Manichäismus, Wiesbaden, 1992, pp. 113 ss. (da prendere con cautela le tesi orfico-platoniche enunciate dal Casadio sulla scia delle precomprensioni di Ugo Bianchi).

35 Cfr. T. Green, "The Presence of the Goddess in Harran", in E.N. Lane (ed.), Cybele, Attis and Related Cults. Essays in Memory of M.J. Vermaseren (Religions in the Graeco-Roman World 131), Leiden-Köln, 1996, p. 90.

36 Sui legami fra divinità tipologicamente affini come Attis o Adonis, e la Luna, cfr. ancora G. Delling, art. cit. col. 200.

37 Cfr. H. Hepding, Attis seine Mythen und sein Kult (Religionsgeschichtliche Versuche und Vorarbeiten I), Giessen, 1903, p. 156/3; vd. anche W. Baudissin, Adonis und Eshmun, Leipzig, 1911, pp. 111 ss.

38 Cfr. Scarcia pp. 71-72.

39 Cfr. AirWb coll. 480-481; De Willman-Grabowska pp. 496-497; e il mio "Le acque del Drago", cit. pp. 34-35.

40 Cfr. M. Eliade, Trattato di storia delle religioni (Universale Scientifica Boringhieri 141/142), Torino, 1976, pp. 193 ss., in partic. pp. 199 ss.; Gnoli, "Luce" pp. 105 ss.

41 Cfr. Gnoli, "Luce" p. 111.

42 Ibid.; e R.C. Zaehner, Zurvān. A Zoroastrian Dilemma, Oxford, 1955 (repr. New York, 1972), pp. 71 ss.

43 Cfr. Hipp. Ref. V, 19, 7.

44 Cfr. Artem. Onir. II, 35; per questo si vd. Borghini, "Artemide" p. 169.

45 Cfr. Bram p. 84a; vd. anche W. Gundel, art. cit. coll. 76 ss, dove si analizza in partic. l'aspetto razionalistico del culto lunare.

46 Artem. Onir. II, 36 in Borghini, "Artemide" p. 169; vd. anche Bram p. 89b.

47 Cfr. De Isid. et Osir. 41, 367e; cfr. anche Porph. De antr. Nymph. 11.

48 Cfr. Philo. Spec. leg. 2, 143.

49 Cfr. K. Preisendanz (hrsg.), Papyri Graecae Magicae. Die griechischen Zauberpapyri, I-II, Leipzig-Berlin, 1928-1931 (nuova edizione a cura di A. Henriche, Stuttgart, 1973-1974), III, 388. 416; IV, 2441. 2554 ss.

50 Apul. Metam. 11, 2.

51 Petr. Satyr. LXII, 3.

52 Su questo tornerò in un mio prossimo lavoro, per ora basti rinviare allo studio di A. Borghini, "Petronio Sat. LVII 3 e LXII 6: nota di folklore", in Materiali e discussioni per l'analisi dei testi classici, 9 (1982), pp. 167-174; i lavori del Borghini, impeccabili da un punto di vista filologico, risentono però di un'impostazione ermeneutica eccessivamente aristotelica.

53 Probabilmente Neante di Cizio, storico del III sec. a.C.; cfr. Gaio Plinio Secondo, Storia Naturale, II. Antropologia e zoologia, Libri 7-11, trad. e note di A. Borghini-E. Giannarelli-A. Marcone-G. Ranucci, Torino, 1983, p. 195 n. 81/1.

54 Su questo si è diffuso sempre il Borghini in "Tradizioni", pp. 101 ss., dove è evidenziata la valenza funeraria della quercia.

55 Cfr. Plinio Nat. hist. VIII, 81.

56 Prop. Eleg. IV, 5, 13-15, che si rifà a Virgilio, Bucoliche VIII, 95-100; cfr. Bronzini p. 168 e pp. 193-194 (testo 10).

57 Cfr. Petr. Satyr. LXII, 11.

58 Ibid. LXII, 13.

59 Alcuni passi prima (LXII, 2) Nicerote descrive il miles-licantropo come un "soldato forte come un toro"; cfr. anche Bronzini p. 172.

60 Per le analogie tra le corna bovine e la falce lunare si vd. anche G. Delling, art. cit. col. 200.

61 Cfr. Dan. 4, 20 ss.

62 Ibid. 4, 30 (Septuaginta, ed. A. Rahlfs, Stuttgart, 1935, p. 901).

63 Cfr. La Sacra Bibbia tradotta dai testi originali, a cura del Pontificio Istituto Biblico, Vol. VII : I Profeti/2, Milano, 1958, pp. 196-197 n. 30.

64 Cfr. Nat. hist. VIII, 81-82.

65 Cfr. Eus. Praep. ev. IX, 41, 3 (Schroeder-Des Places pp. 338-341).

66 Cfr. Koehler-Baumgartner p. 1136a.

67 Dan. 4, 30 (Biblia Hebraica, ed. R. Kittel-P. Kahle, Stuttgart, 1937 [repr. 1961], p. 1265).

68 Cfr. MacKenzie p. 35, con il molteplice significato di "bue, toro, giovenca, vacca...", dall'avestico gav- (AirWb col. 505).

69 Cfr. A. Pagliaro, "La letteratura della Persia preislamica", in A. Pagliaro-A. Bausani, La letteratura persiana, Firenze-Milano, 19682, p. 36.

70 Cfr. Nat. hist. XXX, 4.

71 Cfr. Bidez-Cumont I, pp. 85 ss.

72 Cfr. A. Pagliaro, op. cit. p. 37.

73 Per una prima informazione a riguardo, cfr. G. Widengren, "Quelques rapports entre Juifs et Iraniens à l'époque des Parthes", in aa.Vv, Volume du Congrès: Strasbourg 1956 (Supp. to Vetus Testamentum IV), Leiden, 1957, pp. 197-241; e Id., Iranisch-semitische... cit. passim; ancora fondamentale D. Winston, "The Iranian Component in the Bible, Apocrypha and Qumran: A Review of the Evidence", in History of Religions, 5 (1966), pp. 183-216; vd. anche la mia sintesi "Enoch e l'Iran: un'ipotesi sulle origini dell'apocalittica", in Nicolaus, N.S. 22 (1995), pp. 91-136.

74 Cfr. Molé pp. 220 ss.

75 Cfr. AirWb. coll. 508 e 1540.

76 Cfr. Yasna 29, 1 ss.

77 Cfr. Nyberg p. 84a.

78 Cfr. Molé pp. 196 ss.

79 Cfr. Nyberg pp. 81b-82a.

80 Cfr. anche Bram p. 87.

81 Vd. in partic. la magistrale messa a punto di C.G. Cereti, "La figura del redentore futuro nei testi iranici zoroastriani: aspetti dell'evoluzione di un mito", in Annali dell'Istituto Orientale di Napoli, 55 (1995), pp. 33-81; si cfr. anche il mio lavoro "Il Mistero di Seth. Sincretismo gnostico in una perduta apocalisse", in Laurentianum, 39 (1998), pp. 413-453.

82 Cfr. in partic. il bellissimo lavoro di Gh. Gnoli, "Lichtsymbolik in Alt-Iran. Haoma-Ritus und Erlöser-Mythos", in Antaios, 8 (1967), pp. 528-549.

83 Cfr. Gnoli Sīstān pp. 27-28, ed in partic. n. 10.

84 Cfr. F. Cumont, Les Mystères de Mithra, Bruxelles, 19133, p. 120; e L.A. Campbell, Mithraic Iconography and Ideology (EPRO 11), Leiden, 1968, pp. 148 ss., 226-227 e 340 ss.

85 Cfr. Molé p. 220; vd. ora l'edizione di Gignoux-Tafazzoli alle pp. 21 ss.

86 Gignoux-Tafazzoli (p. 49, 32) traducono "al dio Māh" (cioè "al dio della Luna"); preferisco lasciare inalterata l'espressione per rendere l'idea – forse corbeniana – di Māh quale arcangelo lunare e yazata celeste.

87 Zādspram III, 50 (Gignoux-Tafazzoli p. 48 [testo], p. 49 [trad.]). È una chiara allusione al passaggio dell'essenza animica dallo stato embrionale, lunare, spermatico, il mēnōg, a quello manifesto e corporeo, cioè rivelato nel divenire fenomenico, il gētīg; cfr. Gh. Gnoli, "Osservazioni sulla dottrina mazdaica della creazione", in Annali dell'Istituto Orientale di Napoli, N.S. 13 (1963), pp. 180 ss.; S. Shaked, "The notions mēnōg and gētīg in the Pahlavi Texts and their relation to eschatology", in Acta Orientalia, 33 (1971), pp. 59 ss.

88 Che è ricalcata sul Māh Yast: cfr. De Willman-Grabowska pp. 491 ss.

89 Cfr. De Willman-Grabowska pp. 493-494.

90 Sullo xvarrah si vd. da ultimo l'articolo di Gh. Gnoli, "Über das iranische *huarnah-: lautliche, morphologische und etymologische Probleme. Zum Stand der Forschung", in Altorientalische Forschungen, 23 (1996), pp. 171-180, a cui si rinvia per tutta la biografia precedente.

91 Cfr. Māh Nyāyisn III, 7 (The Nyaishes or Zoroastrian Litanies. Avestan Text with the Pahlavi, Sanskrit, Persian and Gujarati Versions [Khordah Avesta, Part. I], ed. M.N. Dhalla [Columbia University/ Indo-Iranian Series VI], repr. New York, 1965, pp. 100-101); vd. anche M. Molé, "La Lune en Iran Ancien", in Aa.Vv., La Lune. Mythes et rites (Sources Orientales V), Paris, 1962, p. 224; per gli approfondimenti sulla natura bovina dell'astro, vd. in partic. pp. 220 ss.

92 Su questa interferenza tra iranismo e mondo aramaico, si vd. ancora GH. Gnoli, "Un emprunt iranien en araméen ignoré jusqu'à présent", in R. Gyselen (ed.), Au carrefour des religions. Mélanges offerts à Ph. Gignoux (Res Orientales VII), Bures-sur-Yvette, 1995, pp. 87-92.

93 Cfr. Māh Nyāyisn III, 11 (Dhalla pp. 110-111); e M. Molé, "La Lune..." cit. p. 224; si vd. anche il passo di Dādastān i dēnīg 37, 31-33, cit. a p. 226.

94 Cfr. J.M. Unvala, "Gōpatsāh", in Bulletin of the School of Oriental (and African) Studies, 5 (1928-30), pp. 505-506; Gnoli, Sīstān p. 98

95 Cfr. Gnoli, Sīstān p. 98.

96 Dādastān i dēnīg 90, 4 in Gnoli, Sīstān p. 99.

97 Cioè il malvagio e formidabile guerriero turanico Frarasyan/Afrāsiyāb dei cicli leggendari avestici e neo-persiani; per gli approfondimenti bibliografici rimando al mio lavoro "L'anomalia gnostica. Fascinazioni iraniche nel sincretismo antico", in Convivium Assisiense, N.S. 1 (1999), pp. 129-158.

98 Cfr. Gnoli, Sīstān p. 99.

99 Cfr. Yast 9, 4, 18.

100 Sui legami tra la Luna ed il rinnovamento finale, cfr. Zādspram XXXIV, 25-28 (Gignoux-Tafazzoli pp. 120-121).

101 Cfr. Dd. Mēnōg i xrad 62, 31-36 (J.M. Unvala, art. cit. p. 505).

102 Cfr. Gnoli, Sīstān p. 99 e n. 9; vd. anche quanto detto nel mio "La libagione d'immortalità. Note sul Martirio di Santo Stefano", in Salesianum, 59 (1997), pp. 612-613.

103 Cfr. Lucan. VI, 669; W. Gundel, "Mond", in op. cit. col. 104.

104 Cfr. Hipp. Ref. V, 14, 1-10.

105 Ibid. V, 14, 1 (Marcovich p. 177, 2-4).

106 Per i termini "tesoriere" e "tesoro" (anche "stanza del tesoro") come tecnici nel linguaggio gnostico, cfr. in partic. G. Widengren, Fenomenologia della religione, Bologna, 1984, pp. 287 e 589, che sottolinea come nella gnosi mandea il sommo sacerdote sia il ganzibra, il "tesoriere" (pp. 691 ss.).

107 Cfr. Hipp. Ref. V, 14, 1 (Marcovich p. 178, 7-9).

108 Cfr. Marcovich p. 178 n. 8.

109 Cfr. anche Num. 33, 9.

110 Cfr. Gnoli, "Luce" pp. 95 ss. (per lo sfondo indo-iranico-gnostico).

111 Cfr. Hipp. Ref. VI, 14, 1 ss.

112 Traggo queste suggestioni da Scarcia pp. 79-90, che a sua volta rinvia a G. Groddek, Il linguaggio dell'Es, Milano, 1975, p. 102.

113 Cfr. Scarcia pp. 80 ss.

114 Vd. supra n. 27.

115 Hipp. Ref. V, 14, 1-2 (Marcovich p. 178, 9-13).

116 Ibid. V, 14, 3 (Marcovich p. 178, 14).

117 Ibid. (Marcovich p. 178, 19-20).

118 Cfr. anche Pistis Sophia III, 126 (passo studiato nel mio "Le acque del Drago", cit. p. 12), con probabile rif. al dōdekáōros zodiacale elaborato da Teucro di Babilonia.

119 Hipp. Ref. V, 14, 4 (Marcovich p. 178, 21-179, 22).

120 Ibid. V, 14, 6-7 (Marcovich p. 179, 35-36).

121 Cfr. Diod. I, 27, 4; e A. Panaino, Tistrya, Part. II: The Iranian Myth of the Star Sirius (Serie Orientale Roma LXVIII, 2), Is.M.E.O.: Roma, 1995, pp. 55-56.

122 Errata sembra la congettura del Marcovich (p. 180 n. 43), che fa derivare  dall'antico-persiano Gau-mata, seguendo le suggestioni di J. Markwart (in Orientalia, 50 [1930], p. 23 n. 3 e p. 29 n. 1).

123 Cfr. Hipp. Ref. V, 14, 8 (Marcovich p. 180, 41-47).

124 Delatte p. 643, 7-13.

125 Si tratta del Codex Mediolanensis E 37 Sup. Mss. XVI sec. (= Catal. codd. astrol. gr. III, pp. 13 e 41), F. 375v.

126 Cfr. F.G. Dölger, Sol salutis. Gebet und Gesang im christlichen Altertum (Liturgiewissenschaftliche Quellen und Forschungen, Heft 16/17), Aschendorffsche Verlagbuchhandlung: Munster Westfalen, 1972 (rist. sull'edizione del 19252), p. 361.

127 Cfr. Isaia 24, 23 e 30, 26.

128 Tetrab. IV, 10 (182); cfr. anche J. Tambornino, De antiquorum daemonismo (Religionsgeschichtliche Versuche und Vorarbeiten VII, 3), Giessen, 1909, p. 16.

129 Cfr. Philops. 14 (Harmon pp. 340-341); cfr. anche quanto detto da A. Borghini-C. Pellegrino "Quod sursum est, deorum faciunt (Petr. Satyr. 63, 9)", in A. Loprieno (cur.), Miscellanea fra linguistica e letteratura, Napoli, 1986, pp. 53-56.

130 Cfr. Philops. 14 (Harmon pp. 342-343.

131 Cfr. in partic. Beyschlag pp. 127 ss.

132 Cfr. Rec. II, 8, 1 (Rehn p. 55, 9-16).

133 Ibid. (Rehm p. 55, 11-12).

134 Ibid. II, 12, 1 (Rehm p. 58, 5-16).

135 Cfr. Beyschlag pp. 153 ss.

136 Si noti il gioco di parole tra  e , corrispondente all'attribuzione di dignità lunare all'Helena omerica da parte dei pitagorici; cfr. in partic. F. Jesi, "Aspetti isíaci di Elena nell'apologetica pitagorica", in Aegyptus, 41 (1961), pp. 148-149; e M. Detienne, "La légende pythagoricienne d'Hélène", in Revue de l'Histoire des Religions, 152 (1957), pp. 129 ss.

137 Cfr. Ir. Adv. haer. I, 23, 2; Hipp. Ref. VI, 19, 1 ss.; Epiph. Pan. haer. XXI, 3, 1 ss.

138 Cfr. F. Jesi, art. cit. pp. 149-151; la dottrina degli , tipica della mentalità democriteo-epicurea (cfr. C. Brillante, "Il sogno nella riflessione dei presocratici", in Materiali e discussioni per l'analisi dei testi classici, 16 [1986], pp. 30 ss.), nel Proemio di Diogene Laerzio è avvicinata agli insegnamenti dei Magi persiani e si ricollega probabilmente alla gyān wēnisn, l'"occhio dell'anima", l'illuminatio matutina, cioè la "visione animica" dei testi pahlavi (cfr. Gh. Gnoli, "Asavan. Contributo allo studio del libro di Ardā Wirāz", in Gh. Gnoli-A.V. Rossi [cur.], Iranica [IUO – Seminario di studi Asiatici, Series Minor X], Napoli, 1979, p. 419 e n. 162); ringrazio il prof. Gherardo Gnoli per avermi chiarito i termini della questione.

139 Per il mitologhema gnostico degli Arconti che tentano di afferrare/violentare l'immagine psichica di Eva (o di sua figlia Norea), cfr. ad es. Apocr. Joh. II, 24, 14 ss. e Hyp. Arch. II, 92, 20 ss.

140 Cfr. Rec. II, 12, 1 (Rehm p. 58, 8-10).

141 Cfr. J. Starr, "An Eastern Christian Sect: The Athinganoi", in Harvard Theological Review, 29 (1936), p. 105.

142 Cfr. Ign. v. Döllinger, Beiträge zur Sektengeschichte des Mittelalters, I. Geschichte der gnostisch-manichäischen Sekten im früheren Mittelalter, München, 1890, p. 33; J. Starr, art. cit. pp. 93 ss.

143 PG 106, 1333.

144 Cfr. F. Bömer, Der lateinische Neuplatonismus und Neupythagoreismus und Claudianus Mamertus in Sprache und Philosophie (Klassisch-Philologische Studien, Heft 7), Leipzig, 1936, pp. 111 ss.

145 Su questa tematica vd. da ultimo il prezioso volume di T.M. Green, The City of the Moon God. Religious Traditions of Harran (Religions in the Graeco-Roman World formerly EPRO 114), Leiden-Köln, 1992, passim.

146 Cfr. Delatte p. 124, 14; 237, 7; 242, 25-26.

147 Cfr. Crum p. 309a.

148 Cfr. Test. Ver. IX, 45, 31-46, 2 (ed. B.A. Pearson, Nag Hammadi Codices IX and X [Nag Hammadi Studies XV], Leiden, 1981, pp. 158-159).

149 Cfr. G. Casadio, "The Manichaean Metempsycosis...", cit. passim.

150 Cfr. Bram p. 84a.

151 Ibid.

152 Cfr. Pausania, Perieg. III, 26, 1.

153 Cfr. L. Rocci, Vocabolario Greco Italiano, Roma, 19433 (rist. 1985), p. 1443b; vd. anche A. Borghini-C. Pellegrino, "Quod sursum est...", cit. pp. 55-56.

154 Cfr. Diod. IV, 60; V, 80; Ps. Apollodoro III, 1, 2-4. Un ringraziamento va ancora alla dr.ssa Emanuela Turri per l'aiuto che ormai da anni reca ai miei lavori.


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